Per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, ribadita da ultimo con un’ordinanza di luglio 2020, i comportamenti alienanti – ovvero di allontanamento o cancellazione morale e materiale dell’altro genitore (alienato) dai figli (cosiddetta “sindrome di alienazione parentale”) – posti in essere da un genitore (alienante) rendono quest’ultimo non idoneo al proprio ruolo genitoriale.
Da anni, numerosi psicologi hanno attestato la pericolosità dei comportamenti alienanti per la serena crescita del minore che li subisce, poiché causano al figlio minore la privazione dell’altro genitore, spesso attraverso comportamenti che squalificano la sua figura e che impediscono anche il libero pensiero e la libera scelta del minore.
Il Tribunale, allorchè attraverso l’espletamento di una CTU psicologica accerta che si sia costituito un legame simbiotico e patologico tra un genitore ed un figlio, impedendo in tal modo di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, può considerare tale comportamento una grave violazione dei diritti del figlio ed una dimostrazione della mancanza dei requisiti di idoneità genitoriale, che può portare il giudice, in concorrenza con le altre prove processuali, ad affidare in via esclusiva il figlio all’altro genitore.
Di fronte a comportamenti di alienazione, l’orientamento dei giudici è quello di provare a ricucire la relazione con il genitore allontanato. Per farlo, è possibile anche il collocamento del figlio con il padre presso una comunità, che, da un lato, permette al figlio di evitare il condizionamento psicologico determinato dal continuo rapporto con la madre e, dall’altro, offre al padre l’opportunità di superare problematiche che necessitano di un intervento psicoterapeutico (Cassazione, ordinanza 9143/2020).